Stabilire il giusto regime applicabile a questi contratti non è sempre facile perché accanto a collaborazioni genuine si trovano anche false Partite Iva ovvero rapporti di collaborazione che pur essendo inquadrati nell’ambito del lavoro autonomo, in realtà celano un lavoro subordinato.
False Partite Iva dunque perché l’autonomia del prestatore di lavoro è solo un’illusione e chi opera in questo modo spesso ha tutti i doveri di un lavoratore dipendente, ma senza i relativi diritti e tutele.
Nel mondo del lavoro di oggi sempre più spesso gli imprenditori scelgono di affidarsi a professionisti con Partita Iva in quanto essi, oltre a rispondere meglio alle caratteristiche di flessibilità che il lavoro moderno richiede, hanno costi sicuramente inferiori rispetto a quelli previsti per l’assunzione di un lavoratore dipendente (si pensi ai contributi previdenziali, stipendio durante le ferie, permessi retribuiti etc).
Nei diversi anni gli interventi del Legislatore sono stati dunque finalizzati a colpire tutte quelle operazioni simulatorie del lavoro autonomo dirette a privare il prestatore delle tutele tipiche del lavoro subordinato.
In relazione a questo tipo di problematica è inizialmente intervenuta la Riforma Fornero (Legge 92/2012) che, con il comma 26 dell’art 1, ha introdotto l’art 69 bis del D.lgs 276/2003 che ha previsto una presunzione di subordinazione finalizzata a smascherare e sanzionare quei contratti di lavoro che dietro false Partite Iva nascondevano veri e propri contratti di lavoro subordinato.
La Legge Fornero dunque stabiliva tre condizioni per far presumere la subordinazione di una Partita Iva ossia una specifica durata della collaborazione, un requisito riguardante il fatturato del collaboratore ed il luogo di lavoro.
Al verificarsi di almeno due di tali condizioni, salvo prova contraria fornita dal committente, tali fattispecie venivano riqualificate in termini di rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
L’ultima riforma in materia è intervenuta con il c.d. Jobs Act (D.lgs 81/2015) che, abrogando la sopracitata disciplina, ha introdotto, all’art 2, comma 1, un nuovo regime di presunzione secondo cui “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente”.
A tal proposito si evidenzia che il Legislatore del 2015, tra le condizioni necessarie all’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contempla il requisito della etero-organizzazione, ossia la circostanza che il collaboratore svolga la propria attività, oltre che in modo continuativo ed esclusivamente personale, nel rispetto di determinati orari di lavoro e presso luoghi preventivamente individuati dal committente e quindi senza autonoma organizzazione del lavoro da parte del collaboratore medesimo.
Tuttavia si sottolinea che in forza di tale normativa (art. 2, comma 2 Job Act) esulano dall’applicazione della disciplina sopra illustrata alcune tipologie di collaborazioni tra cui quelle prestate da lavoratori iscritti all’Albo professionale (come ingegneri, architetti etc) ed altre indicate dalla medesima disposizione (lettere da a) a d-ter)).
Alla luce di quanto sopra ne consegue che adibire un lavoratore autonomo con Partita Iva a mansioni di fatto riconducibili a quelle di un rapporto di lavoro subordinato può comportare conseguenze rilevanti per l’azienda.
Infatti, nonostante il Job Act abbia previsto per le parti del rapporto l’opportunità di certificare, attraverso l’intervento di appositi organismi, l’assenza nel rapporto medesimo dei requisiti caratterizzanti la collaborazione etero-organizzata, tuttavia, essendo tale certificazione vincolante solo nei confronti di terzi (compresi gli organi di vigilanza) nulla impedisce all’organo giudiziario di poter cassare quanto definito dal soggetto certificatore e riqualificare il rapporto come subordinato con tutte le conseguenze di legge (si pensi alle differenze retributive, ai contributi previdenziali, assistenziali etc).
Infatti è ormai pacifico ritenere che quello che rileva ai fini dell’inquadramento giuridico del rapporto di lavoro è la disamina del comportamento effettivo delle parti posteriore alla conclusione del contratto.