L’infortunio sul lavoro, inteso come ogni lesione originata in occasione di lavoro da una causa violenta che determini la menomazione parziale o totale della capacità lavorativa o, nei casi più gravi, il decesso della persona, è senza dubbio un tema affrontato spesso dalla giurisprudenza, in particolare in relazione al riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro per mancata ottemperanza agli obblighi di sicurezza previsti dalla legge.
L’obbligo di sicurezza a carico del datore di lavoro
Al fine di valutare in quali circostanze sia configurabile la responsabilità del datore di lavoro per infortunio sul lavoro, è fondamentale considerare quali siano gli obblighi gravanti sullo stesso in materia di sicurezza, in modo da delineare le fattispecie penali in merito. La materia è disciplinata dal Testo Unico sulla Sicurezza (d.lgs. 81/08); secondo le sue norme il datore di lavoro è tenuto a provvedere (i) alla valutazione di tutti i rischi presenti sul luogo di lavoro e a redigere apposito Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), (ii) alla messa a norma di locali, impianti, macchinari ed attrezzature utilizzate dai lavoratori, (iii) alla nomina delle figure indispensabili per la sicurezza sul lavoro, tra cui il responsabile del servizio di prevenzione e protezione o RSPP, e (iv) alla formazione e l’addestramento dei lavoratori in materia di norme di sicurezza e prevenzione.
L’adempimento di tali obblighi è fondamentale al fine di tutelare la salute e l’integrità dei lavoratori. Qualora tali obblighi non siano adempiuti correttamente, il lavoratore può agire in giudizio per la responsabilità del datore di lavoro per infortunio sul lavoro.
Quando il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio sul lavoro?
Un punto fondamentale su cui la Suprema Corte di Cassazione è tornata più volte a pronunciarsi, riguarda la potenziale rilevanza della condotta negligente o imprudente del lavoratore ai fini dell’esclusione della responsabilità del datore di lavoro per infortunio sul lavoro.
Al riguardo, la Cassazione ha più volte ribadito come la condotta imprudente del lavoratore, non sia sufficiente di per sé ad escludere la responsabilità del datore di lavoro che abbia omesso le necessarie cautele richieste “tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili ex ante ed idonee ad impedire, nonostante l’imprudenza del lavoratore, il verificarsi dell’evento dannoso” ed, anzi, non rileva neppure ai fini del concorso di colpa nel caso in cui vi sia stato inadempimento del datore di lavoro.
La giurisprudenza costante è concorde nell’escludere la sussistenza del concorso di colpa della vittima, ai sensi dell’art. 1227, I comma, c.c., al di fuori del c.d. rischio elettivo, quando emerge che il datore di lavoro ha omesso di adottare le misure di sicurezza prescritte oppure ha impartito l’ordine da cui si è verificato l’infortunio o ha trascurato di fornire al lavoratore un’adeguata formazione. In tal caso la condotta imprudente del lavoratore diviene una mera occasione dell’infortunio e risulta giuridicamente irrilevante (Cass. 8988/2020).
Caso preso in esame
Nella recentissima ordinanza n. 25597 del 22.09.2021, la Corte di Cassazione ha nuovamente affrontato il tema della responsabilità del datore di lavoro in caso di infortunio dovuto alla omissione delle regole di cautela, in particolare quando l’infortunio sia stato determinato anche da una condotta imprudente da parte del lavoratore.
Nel caso trattato, invero, un lavoratore, nel movimentare alcune pesanti lastre con l’ausilio di un carroponte, ne veniva colpito poiché non si era allontanato dalla zona in cui erano rimaste le cataste di lamiere, come, invece, avrebbe dovuto fare, spostandosi nell’area sicura delimitata da linee verdi presenti nel pavimento.
A seguito di tale infortunio sul lavoro, il prestatore chiedeva, quindi, il riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro e/o della società committente con conseguente risarcimento del danno subito. Tale domanda, tuttavia, veniva respinta dal Tribunale di Ravenna, il quale riteneva l’infortunio sul lavoro attribuibile a colpa esclusiva del lavoratore, con conseguente esclusione della responsabilità del datore di lavoro.
In appello, la Corte di Bologna respingeva ancora la richiesta di risarcimento dell’appellante, poiché non risultava provata la responsabilità del datore di lavoro e/o della committente per omessa vigilanza, ma rilevava esclusivamente un’unica condotta “anomala” posta in essere, nell’occasione dell’infortunio sul lavoro, dal lavoratore stesso. Il dipendente proponeva allora ricorso in Cassazione.
La Cassazione, in contrasto sia con la sentenza di primo che di secondo grado, riteneva, invece, che le statuizioni della sentenza impugnata non fossero rispettose dei principi elaborati dalla giurisprudenza consolidata in materia di responsabilità del datore di lavoro per infortunio sul lavoro.
In particolare, la Suprema Corte considerava che l’obbligo di sicurezza a carico del datore di lavoro trovi fondamento nell’art. 32 Cost. e nell’art. 31 della Carta di Nizza, ove è previsto che “ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose”, nonché nel D.lgs. n. 81/2008 in materia di salute e sicurezza nei lavori e, infine, nell’art. 2087 c.c., secondo cui l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Il datore di lavoro deve, pertanto, adottare non solo le particolari misure tassativamente previste dalla legge, ma anche tutte le altre che in concreto si rendano necessarie per la tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore e diventino quindi “esigibili” ed idonee ad impedire evento lesivo oppure a ridurne conseguenze.
Il datore di lavoro è tenuto a “proteggere l’incolumità dei lavoratori e a prevenire anche i rischi insiti nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia dei medesimi nell’esecuzione della prestazione dimostrando di aver posto in essere ogni precauzione a tal fine idonea” (Cass. 106026/2018, Cass. 798/2017, Cass. 27127/2013, Cass. 4075/2004).
Ne deriva che sussiste la responsabilità del datore di lavoro per infortunio sul lavoro sia quando ometta di adottare le misure protettive, sia quando, pur avendole adottate, non accerti e vigili affinché queste siano di fatto rispettate da parte del dipendente (Cass. 2209/2016).
Rischio elettivo
L’unico caso in cui la condotta del dipendente comporti l’esclusione della responsabilità del datore di lavoro si ha quando sono presenti i caratteri dell’abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, assurgendo a comportamento atipico ed eccezionale e causa esclusiva dell’evento (Cass. 4075/2004).
Ne è un chiaro esempio il c.d. rischio elettivo, ossia “la condotta personalissima del lavoratore, esercitata ed intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, avulsa dall’esercizio della prestazione lavorativa e tale da creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità di lavoro e da porsi come causa esclusiva dell’evento, interrompendo il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata” (Cass. 3763/2021, Cass. 7649/2019, Cass. 16026/2018, Cass. 798/2017, Cass. 7313/2016, Cass. 28786/2014 etc.).
L’ultimo punto che si ritiene utile trattare riguarda l’onere della prova, poiché l’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva del datore di lavoro, ma spetterà al lavoratore provare il fatto costituente l’inadempimento, la sussistenza del danno ed il nesso causale.
Il dipendente non dovrà, però, provare la colpa del datore di lavoro in quanto opera la presunzione ex art. 1218 c.c. A sua volta il datore di lavoro dovrà allegare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi dell’evento e di aver vigilato sull’uso effettivo degli strumenti di cautela forniti al lavoratore (Cass. 3786/2009).
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