Incombe sul paziente che intende agire in giudizio nei confronti della struttura sanitaria, ovvero del medico (nella sola ipotesi, però, in cui quest’ultimo abbia prestato la propria opera in virtù di una obbligazione contrattuale assunta direttamente nei confronti del paziente stesso), l’onere di dar prova dell’evento dannoso e della sussistenza del nesso di causalità fra tale evento e la condotta – commissiva od omissiva – dei sanitari.
La riforma alla disciplina del risarcimento danni da malpractice medica apportata dalla L. n. 24/2017 “Gelli – Bianco” ha, infatti, qualificato la responsabilità della struttura sanitaria per i danni patiti dal paziente (anche laddove tali danni siano stati cagionati da una condotta dolosa o colposa di sanitari di cui la stessa si avvale, ancorché non dipendenti, e scelti dal paziente) come responsabilità contrattuale ai sensi degli artt. 1218-1228 cod. civ..
Resta, invece, qualificata come extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. la responsabilità dell’operatore sanitario, salvo che questo non abbia prestato la propria attività in adempimento di un’obbligazione contrattuale contratta direttamente col paziente.
Le conseguenze più rilevanti della nuova qualificazione della responsabilità della struttura sanitaria come contrattuale attengono ai profili della prescrizione e dell’onere della prova.
Con riferimento al primo profilo si segnala che, il termine di prescrizione dell’azione fondata su una dedotta responsabilità contrattuale della struttura sanitaria è quello ordinario di dieci anni ex art. 2946 cod. civ., mentre quello per una dedotta responsabilità extracontrattuale del medico è quello quinquennale di cui all’art. 2947 cod. civ..
Per quanto, invece, attiene il profilo dell’onere della prova, di deve rilevare come il paziente debba dar prova della verificazione dell’evento danno nonché della sussistenza del nesso di causalità fra la condotta censurata (e ciò indipendentemente dalla circostanza che tale condotta sia commissiva ovvero omissiva) ed il danno lamentato.
Il richiamato principio è stato, da ultimo, confermato in due recenti pronunce della Corte di Cassazione
Con l’ordinanza n. 103454/2021, pubblicata il 20.04.2021, la Corte di legittimità ha ribadito come laddove il paziente invochi la responsabilità della struttura sanitaria questo resti sollevato dall’onere di dar prova della colpa del sanitario ma debba, in ogni caso, fornire prova del nesso di causalità fra la condotta posta in essere dal sanitario stesso e l’evento dannoso lamentato.
Posto, infatti, l’intervenuta lesione dell’interesse presupposto del paziente (costituito dal diritto alla salute) potrebbe non essere derivata dalla violazione da parte del sanitario delle regole dell’arte medica – e ciò ancorché tale violazione vi sia stata – il paziente danneggiato dovrà, non solo allegare il mancato rispetto di tali regole, ma anche fornire piena prova che dalla condotta violativa posta in essere dal sanitario sia derivata una diretta lesione della propria salute.
In estrema sintesi, la Corte di Cassazione ha confermato come la sussistenza del nesso causale fra la condotta del sanitario e il danno sia elemento costitutivo della fattispecie e debba, quindi, essere provata dal paziente che dovrà, quindi, dimostrare il collegamento materiale causa/effetto fra l’una e l’altro.
Con espresso riferimento, poi, al c.d. “danno da omessa diagnosi” la Suprema Corte ha ricordato come sul punto si debba ricorrere ad un giudizio c.d. controfattuale; si dovrà, quindi, secondo un giudizio ex ante valutare quali sarebbero state le ricadute concrete in capo al paziente nell’ipotesi in cui il sanitario avesse tenuto ex ante una condotta difforme rispetto a quella in concreto tenuta.
Laddove, infatti, pur se il sanitario avesse operato secondo le regole dell’arte medica, il danno si sarebbe in ogni caso verificato in capo al paziente (ovvero le conseguenze dannose sarebbero state sostanzialmente le stesse) – con conseguente dimostrazione che l’evento dannoso non possa essere causalmente ricondotto alla censurata condotta omissiva, bensì debba essere imputato ad altre circostanze – il nesso di casualità non risulterà provato ed il sanitario non potrà essere ritenuto responsabile del danno verificatosi.
Da ultimo, poi, con l’ordinanza n. 14702/2021, pubblicata il 26.05.2021, gli Ermellini hanno confermato come nell’ambito della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per inadempimento della prestazione professionale, il paziente che lamenta un danno sia tenuto ad allegare la circostanza dell’inadempimento della struttura sanitaria ed incomba su di esso l’onere di dar prova dell’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno subìto, la c.d. causalità materiale (posto che per quanto sopra già riferito quest’ultimo non è necessariamente conseguente all’inadempimento).
A questo punto, assolti i richiamati oneri probatori da parte del paziente danneggiato la struttura/il sanitario per andare esente da profili di responsabilità dovrà dar prova di aver agito nel pieno rispetto delle Linee Guida vigenti, ovvero dei protocolli applicabili al caso di specie, piuttosto che della best practice medica, ovvero che il danno verificatosi sia dipeso da causa o fatto ad essa/o non imputabile (la circostanza che il danno lamentato dal paziente – a titolo esemplificativo, l’insorgenza di una patologia, piuttosto che l’aggravamento di una preesistente – sia dipeso da una circostanza eccezionale e non prevedibile è, infatti, idonea ad interrompere in nesso causale fra il danno lamentato e la condotta censurata).