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Nullità parziale delle fideiussioni per violazione della normativa antitrust e tutela risarcitoria

Nullità parziale delle fideiussioni

La Suprema Corte di Cassazione, con Sentenza n. 24044 del 26 settembre 2019, è tornata a pronunciarsi sul tema della nullità parziale delle clausole del contratto di fideiussione bancaria omnibus,laddove conformi allo schema contrattuale predisposto dall’Associazione Bancaria Italiana (ABI) in violazione della libertà contrattuale (art. 2 Legge n. 287/1990).

In particolare, la questione posta nuovamente all’attenzione della Suprema Corte attiene al profilo dell’invalidità totale del negozio fideiussorio, ovvero parziale delle singole clausole considerate lesive del mercato della libera concorrenza.

Tali clausole, che generalmente si riscontravano in tutti i moduli contrattuali dal 2003 in poi agli artt. 2, 6 e 8, riguardavano le seguenti pattuizioni:

  1. Annullamento, inefficacia e revoca dei pagamenti – «Il fideiussore si impegna altresì a rimborsare alla Banca le somme che dalla Banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo»;
  2. Invalidità dell’obbligazione garantita – «Nell’ipotesi in cui le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate»
  3. Responsabilità del fideiussore – «I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i termini previsti dall’art. 1957 c.c. che si intende derogato».

La questione è stata oggi superata, atteso che nei nuovi contratti le prime due clausole sono state eliminate, mentre la terza è stata così sostituita:

Responsabilità del fideiussore: «I diritti derivanti alla Banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore e il termine entro il quale agire per l’adempimento, in deroga a quanto previsto dall’art. 1957 c.c., si stabilisce in 36 (trentasei) mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita».

Cionondimeno il contenzioso sul punto è quantomai vivace, atteso che non è insolito vedere come la questione – rilevabile in ogni stato e grado del giudizio – venga introdotta spesso e volentieri per la prima volta anche in grado di appello, come è avvenuto nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione con la pronuncia in rassegna.

A fronte della domanda dei garanti tesa alla declaratoria di nullità dell’intero negozio fideiussorio ai sensi dell’art. 1418 c.c., gli Ermellini hanno ancora una volta deciso nel senso di ritenere che possa invece trovare applicazione l’art. 1419 c.c. sulla nullità limitata alle singole clausole illegittime.

Ciò in quanto «avendo l’Autorità amministrativa circoscritto l’accertamento della illiceità ad alcune specifiche clausole delle NBU trasfuse nelle dichiarazioni unilaterali rese in attuazione di dette intese (…omissis…), ciò non esclude, ne è incompatibile, con il fatto che in concreto la nullità del contratto a valle debba essere valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 e ss. cod. civ. e che possa trovare applicazione l’art.1419 cod. civ., (…omissis…), laddove l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite» (Cass. Civ. n. 24044/2019).

Sul punto, la Corte di Cassazione, condividendo il ragionamento espresso dalla Corte di Appello di Napoli nella Sentenza impugnata, ha aggiunto che «la decisione della Corte di appello, che ha ritenuto di preservare la dichiarazione fideiussoria espungendo le clausole frutto di intese illecite, favorevoli alla banca, che non incidevano sulla struttura e sulla causa del contratto, non ha pregiudicato la posizione dei garanti, che risulta meglio tutelata proprio in ragione della declaratoria di nullità parziale».

Dunque, la nullità parziale delle clausole illecite sembrerebbe essere la soluzione preferibile, proprio in quanto di maggior tutela per il fideiussore.

Quanto al rimedio offerto dall’ordinamento, a seguito della declaratoria di nullità parziale delle clausole frutto di intese illecite, è ormai appurato che in relazione ai contratti stipulati a valle, costituenti lo sbocco di tale intese, l’azione che può essere esercitata dal fideiussore è di natura esclusivamente risarcitoria.

La Corte di legittimità, infatti, ha ribadito il principio secondo cui «Dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dalla Autorità Antitrust ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990, non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti (Cass. n. 9384 del 11/06/2003; in tema Cass. n. 3640 del 13/02/2009; Cass. n. 13486 del 20/06/2011)» (Cass. Civ. n. 24044/2019). In conclusione, con la pronuncia in commento, gli Ermellini tendono ad escludere la nullità totale della fideiussione, anche se questa contiene le clausole di cui agli artt. 2, 6 e 8 delle vecchie Norme Bancarie Uniformi considerate anti-concorrenziali, preferendo riconoscere una nullità relativa che non travolge l’intero contratto, accompagnata da una tutela di tipo risarcitorio.

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