Quando parliamo di liquidazione giudiziale ci riferiamo al peculiare istituto, introdotto nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, che è andato a sostituire la precedente disciplina sul fallimento. Essa si differenzia da quest’ultimo per la funzione prevalentemente liquidatoria del patrimonio del debitore, volta al soddisfacimento del creditore.
La procedura richiede la sussistenza di due requisiti congiunti, al soddisfacimento dei quali ne è subordinato l’accesso.
Quanto al requisito oggettivo, è necessario che l’imprenditore versi in stato di insolvenza, ovvero si trovi nella condizione di perdurante impossibilità di adempiere le obbligazioni assunte, purché la somma complessiva dei debiti scaduti e non pagati risulti superiore ad euro 300.000.
Quanto al requisito soggettivo, invece, è fondamentale che il debitore sia un imprenditore commerciale non definito come “impresa minore” che abbia superato almeno uno dei tre requisiti dimensionali fissati nell’art. 2 co.1 del CCII.
Alla luce di quanto scritto, ne consegue che il soggetto non passibile di liquidazione giudiziale per l’assenza dei requisiti menzionati, qualora voglia superare l’eventuale crisi in corso, potrà azionare una delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, quali ad esempio la liquidazione del patrimonio o il concordato minore, essendo preclusa l’ipotesi di accedere al piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore. Quest’ultima procedura, difatti, è accessibile solo al consumatore inteso quale “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta anche se socia di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali”.
Inoltre, vi sarà la possibilità di accedere al concordato preventivo liquidatorio.



















