Con la sentenza n. 7861 del 10 aprile 2019, il Tribunale di Roma si pronuncia ancora una volta sul tema dell’usura bancaria nei contratti di mutuo, respingendo il principio della sommatoria tra i tassi di interesse, nato da una erronea interpretazione della ben nota sentenza n. 350/2013 della Corte di Cassazione.
Pur aderendo alla tesi della rilevanza anche degli interessi moratori ai fini della verifica del rispetto della legge n. 108/1996, il Tribunale chiarisce, infattche si tratta di tassi autonomi rispetto a quelli convenzionali, con esclusione di ogni ipotesi di sommatoria.
In particolare, precisa che “l’interesse di mora non va sommato a quello convenzionale, poiché, qualora il debitore divenga moroso, il tasso di interesse moratorio non si aggiunge agli interessi convenzionali, ma si sostituisce agli stessi: gli interessi convenzionali si applicano sul capitale a scadere, costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di disporre della somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale (artt. 821 e 1815 c.c.), mentre gli interessi di mora si applicano solamente sul debito scaduto (art. 1224 c.c.). L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporterebbe comunque la somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito e alla parte degli interessi convenzionali già scaduti e non pagati qualora gli stessi fossero imputati a capitale.”
Peraltro, il Tribunale chiarisce come tale conclusione non sia in contrasto con l’ordinanza della Suprema Corte n. 23192/2017, che, ribadendo il principio secondo cui anche gli interessi di mora sono soggetti alla disciplina antiusura, intendeva solo censurare il ragionamento del Giudice di Prime Cure che aveva apoditticamente escluso l’usurarietà sul solo presupposto dell’inapplicabilità della sommatoria dei relativi tassi. Gli Ermellini evidenziavano, invero, esclusivamente la necessità della verifica della usurarietà di entrambi i tassi, ma autonomamente uno dall’altro.
La sentenza n. 7861/2019 esclude, altresì, la configurabilità di un tasso effettivo di mora (T.E.MO.), derivante dalla sommatoria tra spese ed interessi moratori, in analogia con quanto avviene con il concetto di Tasso Annuo Effettivo Globale (TAEG) “in quanto quest’ultimo parametro ha logica solo se riferito agli interessi corrispettivi e agli oneri accessori all’erogazione del credito, dovendosi escludere tale accessorietà degli oneri rispetto all’interesse moratorio, che, invece, dipende non dall’erogazione del credito, bensì dall’inadempimento del debitore (Trib. Milano n. 16873/2017)”.
La previsione contrattuale di interessi moratori concerne, infatti, la mera ipotesi, patologica ed eventuale, di un ritardo nel pagamento delle rate ed è, dunque, riferita a fattispecie che si discosta dal corso fisiologico del contratto, avendo tali oneri natura risarcitoria, diversamente dagli interessi corrispettivi, connessi all’erogazione del credito. Se, quindi, si reputa corretto computare, unitamente agli interessi corrispettivi, i restanti costi ed oneri connessi all’erogazione del credito ai fini della determinazione del tasso corrispettivo applicato al rapporto (conteggio del TEG), pare incoerente replicare tale modalità di calcolo con riferimento agli interessi di mora, attesa la loro diversa natura che attiene, invece, si ripete, alla mera ipotesi, patologica ed eventuale, di un ritardo nel pagamento delle rate (cfr. Trib. Milano, n. 11854 del 22 ottobre 2015; App. Milano, 20 gennaio 2015).”
Il Tribunale di Roma, dunque, pur aderendo ormai con prevalenza alla tesi della rilevanza degli interessi moratori, conferma l’orientamento consolidato che nega la fondatezza del principio della sommatoria prospettato sulla base di erronee interpretazioni di pronunce della Suprema Corte.