QUANDO IL LICENZIAMENTO PER MALATTIA È LEGITTIMO?
Il licenziamento per malattia costituisce una tematica delicata e complessa del diritto del lavoro, dove vengono in gioco i contrapposti interessi del dipendente a conservare il posto di lavoro e le esigenze del datore di lavoro.
In genere, il lavoratore non può essere licenziato durante il periodo di malattia; esistono, tuttavia, alcuni casi nei quali l’azienda è legittimata ad intimare il licenziamento.
Il licenziamento durante la malattia è ritenuto legittimo nei seguenti casi:
Superamento del periodo di comporto: qualora l’assenza per malattia superi il c.d. periodo di comporto previsto dal CCNL, il licenziamento sarà ritenuto legittimo.
Giustificato motivo oggettivo: motivi economici ed organizzativi che rendono impossibile la continuazione del rapporto di lavoro (ad esempio la ristrutturazione aziendale, la crisi d’impresa, la cessazione dell’attività o anche il venir meno delle mansioni assegnate al dipendente senza possibilità di ricollocamento)
Giusta causa: situazioni talmente gravi da giustificare un licenziamento immediato (ad esempio nel caso in cui l’assenza prolungata del dipendente malato rechi un irrimediabile pregiudizio all’organizzazione aziendale; anche la finta malattia o simulazione di malattia determinano un inadempimento del lavoratore tale da legittimare il licenziamento da parte dell’azienda; la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 13676/2016, ha stabilito che “durante la malattia, il lavoratore che compie attività che ne pregiudicano la guarigione, induce il datore a dubitare della correttezza dei rapporti futuri dello stesso con l’azienda e giustifica il recesso, essendo precluso, al lavoratore in malattia, lo svolgimento di qualsiasi attività che possa ritardarne il decorso”).
SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO: COSA PREVEDE LA LEGGE
Il secondo comma dell’art. 2110 c.c. prevede che il datore di lavoro può procedere al licenziamento del dipendente nel caso in cui l’assenza per malattia superi il c.d. “periodo di comporto” stabilito dalla legge, dai contratti collettivi, o in via residuale, dagli usi.
Dunque, il periodo di comporto corrisponde al tempo massimo durante il quale un lavoratore può assentarsi per malattia senza rischiare il licenziamento.
Superato il tempo massimo di assenza consentito, l’azienda ha invece il diritto di recedere dal contratto di lavoro, eccetto il caso in cui la malattia sia stata cagionata da infortunio sul lavoro o trattasi di malattia professionale. In tal caso si renderà necessario valutare attentamente se il comporto è stato effettivamente superato. Qualora il lavoratore venisse licenziato per superamento del periodo di comporto, avrà diritto di contestare il licenziamento qualora ritenga che il conteggio del comporto sia errato.
Il periodo di comporto è normalmente stabilito dai contratti collettivi nazionali di lavoro e varia a seconda del settore e del contrato specifico.
I contratti collettivi prevedono due tipologie di comporto:
comporto secco: che tiene conto del numero massimo di giorni consecutivi di assenza relativi ad un unico evento morboso;
comporto per sommatoria: dato dalla somma del numero massimo di giorni di assenza per malattia del lavoratore relativi a più eventi morbosi in un certo periodo di tempo (trattasi dunque di una pluralità di malattie verificatesi in un certo arco temporale).
Generalmente il periodo di comporto è quantificato in 180 giorni per anno civile.
In ogni caso, il periodo di assenza dal lavoro per malattia è computato nell’anzianità di servizio.
TUTELE DEL LAVORATORE DURANTE IL PERIODO DI MALATTIA
Durante il periodo di comporto, il lavoratore gode di diverse tutele che mirano a garantire la conservazione del posto di lavoro ed il sostentamento economico.
Il principale riferimento normativo al riguardo è rappresentato dall’articolo 2110 del Codice Civile che al primo comma stabilisce quanto segue: “In caso di infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge [o le norme corporative] non stabiliscono forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali [dalle norme corporative], dagli usi o secondo equità.”
In primo luogo, durante il periodo di comporto l’azienda non può licenziare il dipendente (conservazione del posto di lavoro).
In secondo luogo, durante la malattia il lavoratore ha diritto a ricevere una retribuzione o un’indennità. La misura e la durata di queste prestazioni sono determinate dalle leggi speciali, dai CCNL, dagli usi aziendali o secondo equità. A seconda dei casi, tale retribuzione graverà interamente a carico del datore di lavoro o sarà a carico dell’INPS (retribuzione o indennità).
In terzo luogo, il periodo di assenza per malattia o infortunio è computato nell’anzianità di servizio del lavoratore; ne consegue che il dipendente non perderà i benefici legati all’anzianità quali tredicesima e ferie (computo nell’anzianità di servizio).
IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO PER MALATTIA: COSA FARE?
Qualora il dipendente ritenga che il licenziamento intimato durante la malattia sia illegittimo, potrà impugnarlo.
In particolare:
Come primo passo, entro 60 giorni dalla ricezione della lettera di licenziamento, a pena di decadenza, il lavoratore dovrà far pervenire al datore una comunicazione scritta con la quale rappresenta la volontà di opporsi al licenziamento.
Entro i successivi 180 giorni, a pena di inefficacia dell’impugnazione, il lavoratore deve depositare il ricorso giudiziale presso il tribunale competente ovvero comunicare alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato.
Qualora, il previo tentativo di conciliazione dovesse essere rifiutato dall’azienda ovvero non dovesse essere raggiunto alcun accordo, il lavoratore dovrà depositare il ricorso giudiziale entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo, a pena di decadenza.
CASI GIURISPRUDENZIALI RECENTI SUL LICENZIAMENTO PER MALATTIA
Secondo il costante insegnamento della giurisprudenza, quando vi è un collegamento tra il licenziamento e le assenze per malattia del lavoratore, si devono applicare le regole dell’articolo 2110 c.c. che prevalgono, in quanto speciali, sulla disciplina dei licenziamenti individuali: tali regole impediscono al datore di lavoro di licenziare il proprio dipendente sino al superamento del comporto (tollerabilità dell’assenza). Tale limite è predeterminato dalla legge, dalla disciplina collettiva o, in via equitativa, dal giudice.
Ed invero, la Cassazione con l’ordinanza n. 9453/2023 stabilisce che “nell’ottica di un contemperamento tra gli interessi confliggenti del datore di lavoro a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce e, del lavoratore a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento, solo quel superamento è condizione di legittimità del recesso”. Pertanto, anche se l’eccessiva mobilità del lavoratore ne determina il suo scarso rendimento e provoca un eventuale disservizio aziendale, prima del superamento del periodo massimo di comporto il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non sarebbe legittimo. In tal caso ricorrerebbe l’ipotesi prevista dall’articolo 2110 co. 2 c.c., ovvero la nullità del licenziamento per violazione di una norma imperativa.
Ancora.
Con l’ordinanza n. 23747 del 04.09.2024, la Cassazione afferma che “deve essere dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore che, durante l’assenza per malattia a seguito di infortunio, svolgeva attività che sono state poi riconosciute come non idonee a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio”.
Diversamente, con l’ordinanza n. 1472 del 15.01.2024, la Cassazione ha stabilito che è legittimo il licenziamento del dipendente che durante l’assenza per malattia pone in essere comportamenti che possa aggravare o allungare lo stato di infermità, mettendo in pericolo la ripresa dell’attività lavorativa.
Altra pronuncia che merita un accenno è l’ordinanza della Cassazione n. 9095/2023 secondo cui è “nullo per discriminazione il licenziamento per superamento del periodo di comporto del lavoratore disabile quando nel computo sono inserite anche le assenze dovute a malattie imputabili alla sua disabilità”.
In ogni caso, raccomandiamo sempre di rivolgersi ad un avvocato esperto nella materia del diritto del lavoro per ottenere il supporto e l’assistenza utile a garantire una tutela certa e sicura.
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