“Violenza alla persona”: è tale non solo quella fisica ma anche quella morale.
Con la recente sentenza n. 10959 del 16 marzo 2016, le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione sono tornate a pronunciarsi in materia di stalking e maltrattamenti.
La questione sottoposta all’attenzione delle Sezioni Unite concerneva l’applicabilità o meno ai reati di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) e maltrattamenti (art. 572 c.p.) della previsione di cui all’art. 408, comma 3-bis c.p.p. – obbligo di notificare alla persona offesa la richiesta di archiviazione nel caso di delitti commessi con “violenza alla persona” – introdotta nel nostro ordinamento con Decreto Legge 14 agosto 2013, n. 93 convertito con Legge 15 ottobre 2013, n. 119 (c.d. Legge sul femminicidio).
Veniva dunque richiesto alle Sezioni Unite di stabilire se al concetto di “violenza alla persona” dovessero ricondursi le sole condotte di violenza fisica o, diversamente, anche quelle di violenza morale.
Al fine di risolvere il quesito loro sottoposto, i giudici di legittimità hanno ritenuto necessario svolgere un’attenta analisi dei principali testi normativi in materia di lotta contro la violenza di genere e protezione delle vittime di maltrattamenti adottati a livello internazionale e comunitario.
Tra i documenti presi in considerazione dal Supremo Collegio, particolare rilievo assumono la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata a Istanbul l’11 maggio 2011 (recepita nel nostro ordinamento con legge 27 giugno 2013, n. 77) e la Direttiva 2011/99/UE, istitutiva dell’Ordine Protezione Europeo (attuata con D.lgs. 11 febbraio 2015, n. 9).
Entrambi i documenti normativi fanno proprio un concetto di “violenza alla persona” molto ampio, tale da ricomprendere condotte ulteriori rispetto a quelle lesive della sola sfera fisica del soggetto.
In particolare, l’art. 3 della Convenzione di Istanbul riconduce al concetto di violenza tutti gli atti di violenza suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti. Allo stesso modo, la Direttiva 2011/99/UE individua quali destinatari delle misure di protezione tutte le vittime che abbiano subito di atti di “violenza”, che si esprimono in attacchi all’integrità fisica, molestie, aggressioni sessuali, stalking, intimidazioni o altre forme indirette di coercizione.
Pertanto, rilevato che la nozione di violenza adottata in ambito internazionale e comunitario è più ampia di quella positivamente disciplinata dal nostro codice penale e sicuramente comprensiva di ogni forma di violenza, sia essa attuata con violenza fisica o solo morale, la Suprema Corte ha quindi concluso per l’applicabilità della previsione di cui all’art. 408, co. 3-bis, c.p.p. anche ai reati di atti persecutori e di maltrattamenti. Ciò anche al fine di consentire una maggiore partecipazione della vittima di tale reati nel processo penale.