Con la sentenza numero 22 del 2024 la Corte costituzionale ha affermato l’illegittimità costituzionale del Jobs Act nella parte in cui limita la reintegra solo ai casi di nullità espressamente previsti dalla legge.
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dalla Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto avverso una sentenza della Corte d’Appello di Firenze che pur riconoscendo la nullità del licenziamento irrogato al lavoratore, ha escluso la reintegra dello stesso non ritenendo che la fattispecie in esame rientrasse tra le nullità espressamente richiamate dal Jobs Act ai fini della reintegra.
La Corte di Cassazione investita del caso ha infatti argomentato che l’esclusione delle nullità, diverse da quelle espresse, non trovava rispondenza nella legge di delega, che riconosceva la tutela reintegratoria nei casi di licenziamenti nulli senza distinzione alcuna.
La Corte costituzionale ha ritenuto fondata la censura sottolineando come il testuale riferimento ai licenziamenti nulli non prevedeva la distinzione tra nullità espresse e nullità non espresse ma contemplava una distinzione soltanto per i licenziamenti disciplinari ingiustificati.
Ad avviso della Consulta, così facendo il legislatore non solo ha ecceduto rispetto i limiti della delega ma ha lasciato prive di specifica disciplina le fattispecie escluse, ossia quelle dei licenziamenti nulli si per violazioni di norme operative ma privi della espressa sanzione della nullità.
Alla dichiarata illegittimità costituzionale della norma censurata consegue che il regime del licenziamento nullo è lo stesso sia nel caso in cui disposizione imperativa violata ricorra l’espressa sanzione della nullità sia che ciò non sia testualmente previsto.