La legittimità costituzionale del licenziamento dei dirigenti durante la pandemia COVID è oggi oggetto di un interessante dibattito giurisprudenziale.
La Corte di cassazione ha recentemente affrontato la questione rimettendo alla Consulta l’analisi della legittimità costituzionale relativa all’esclusione dei dirigenti dal divieto di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, introdotto durante l’emergenza sanitaria.
La vicenda trae origine dalla presunta incostituzionalità dell’art. 46 del D.L. 18/2020, nella parte in cui non estende il divieto di licenziamento su base individuale ai dirigenti. Tale normativa richiama l’art. 10 della Legge 604/66, che esclude esplicitamente i dirigenti dal divieto di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, ma li include nei licenziamenti collettivi.
Ora, pur essendo la ratio della normativa quella di evitare un massiccio incremento dei licenziamenti per motivi economici a causa della pandemia, tuttavia ciò che ne è derivato è stata una sproporzione di tutela, garantita ai soli lavoratori dipendenti non dirigenti.
Ed invero, proprio nel caso in esame, la Corte d’Appello aveva dichiarato nullo il licenziamento di un dirigente avvenuto durante una riorganizzazione aziendale.
La Corte di cassazione adita ha ritenuto necessario investire della questione la Consulta, in quanto nutriva dubbi circa la compatibilità della normativa relativa al “blocco dei licenziamenti” vigente durante la pandemia (nella parte in cui il divieto non si estendeva ai recessi individuali dei dirigenti), con l’art. 3 della Costituzione.
Secondo il ragionamento operato dai giudici della cassazione, il divieto di licenziamento introdotto durante l’emergenza sanitaria determina una asimmetria ritenuta irragionevole, in quanto in contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.
La questione è ancora aperta e la Corte sarà chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’46 del D.L. 18/2020.
Qualora la Consulta dovesse accogliere il ragionamento operato dalla Cassazione ne conseguirebbero effetti paradossali.
Ed invero, i datori di lavoro, che nel corso del periodo di vigenza di tale normativa avessero licenziato un dirigente esercitando la facoltà prevista dalla legge, sarebbero condannati a risarcire il dipendente.
Tale conseguenza deriva dal fatto che l’eventuale parziale abrogazione della norma interessata, nella parte in cui non estende il divieto di licenziamento su base individuale ai dirigenti, sarebbe dichiarata invalida con effetto ex tunc.
Tale decisione travolgerebbe tutti i rapporti pregressi, lasciando impregiudicate solo quelle situazioni per le quali gli effetti giuridici del licenziamento si sono ormai esauriti.
Quanto, invece, ai rapporti ancora pendenti, essi verranno sospesi in esito alla pronuncia della Consulta, atteso che gli effetti potrebbero condizionare le sorti del giudizio.