La riorganizzazione aziendale si configura come un insieme di modifiche strutturali e operative in risposta a mutamenti di mercato, esigenze interne o ristrutturazioni strategiche, che può avere un impatto significativo sui lavoratori.
Questi cambiamenti possono includere, ma non sono limitati a:
1) la ristrutturazione interna, che può comportare:
- riorganizzazione gerarchica: revisione della struttura dei ruoli e delle responsabilità per migliorare l’efficienza;
- automazione dei processi: introduzione di tecnologie per semplificare e ottimizzare le operazioni;
- riduzione del personale: tagliare posizioni “non strategiche” per ridurre i costi.
2) Fusioni, quando due società si uniscono per formarne una nuova.
3) Acquisizioni, quando una società ne acquisisce un’altra e la incorpora.
4) Cessioni o chiusure di ramo d’azienda: quando un’unità aziendale non è più redditizia o non soddisfa più uno scopo strategico, si può decidere di venderla o di chiuderla.
5) Cambiamento del management o della proprietà.
Le modifiche aziendali possono comportare variazioni significative nei contratti di lavoro, tra cui: cambio di mansioni, cambiamenti di sede e variazione dell’orario di lavoro, possibilità di esternalizzazione di alcune funzioni aziendali.
Nel caso di riduzione del personale, possono poi verificarsi licenziamenti collettivi o individuali, secondo le procedure previste dalla normativa vigente.
In caso di ristrutturazione aziendale è pertanto fondamentale comprendere le implicazioni legali di tali processi e le forme di tutela che possono essere offerte ai dipendenti.
Cercheremo quindi di fornire una panoramica al riguardo.
Ristrutturazione Aziendale Interna
La riorganizzazione aziendale, come già anticipato, è un processo strategico che mira a modificare la struttura organizzativa interna di un’azienda per migliorare l’efficienza, la flessibilità e la competitività. Questo può includere la ridefinizione dei ruoli, la creazione di nuovi reparti, la fusione di divisioni, l’introduzione di nuove tecnologie o la revisione dei processi di lavoro.
Un aspetto importante della riorganizzazione aziendale sono le modifiche all’organigramma.
MODIFICHE ALL’ORGANIGRAMMA
Le modifiche all’organigramma possono includere:
- Ridefinizione dei ruoli:
La riorganizzazione può richiedere la ridefinizione dei ruoli e delle responsabilità dei dipendenti, per garantire che ciascuno svolga il proprio ruolo in modo efficiente.
- Creazione di nuovi reparti:
In alcuni casi, la riorganizzazione può richiedere la creazione di nuovi reparti o la fusione di reparti esistenti per meglio allineare la struttura organizzativa con le strategie aziendali.
- Modifica delle gerarchie:
La riorganizzazione può anche comportare modifiche alle gerarchie aziendali, ad esempio la creazione di nuovi livelli di gestione o la semplificazione della struttura gerarchica.
La riorganizzazione aziendale, con le modifiche all’organigramma, è un processo strategico che può portare numerosi vantaggi per l’azienda ma, al contempo, può avere un impatto significativo per i dipendenti, che potrebbero percepire la riorganizzazione come una minaccia per il proprio lavoro o per il proprio ruolo.
Per questo motivo, è importante che l’azienda gestisca il cambiamento in modo efficace, comunicando chiaramente le ragioni della riorganizzazione, consentendo in tal modo ai dipendenti di valutare la bontà delle modifiche attuate in azienda.
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In conseguenza alle modifiche dell’organigramma (così come in conseguenza di molteplici altre scelte aziendali che possono verificarsi nel corso del rapporto di lavoro), per i lavoratori si possono verificare:
- Modifiche alle Mansioni:
Il datore di lavoro può modificare le mansioni del lavoratore senza il suo consenso, purché la variazione venga comunicata per iscritto e non sia arbitraria o pregiudizievole per il lavoratore, il quale dovrà rimanere all’interno dello stesso livello professionale.
L’art. 2103 c.c. prevede altresì la facoltà in capo al datore di lavoro di assegnare legittimamente al dipendente una mansione inferiore purché si tratti di mansioni rientranti nella medesima categoria legale, laddove ricorrano specifiche esigenze di modifica degli assetti aziendali. In buona sostanza, deve ricorrere una modifica degli assetti organizzativi aziendali in grado di incidere sulla posizione del lavoratore stesso.
Pertanto, se il cambio di mansione si sostanzia in un demansionamento (assegnazione di un livello inferiore), il datore di lavoro deve motivare la decisione e dimostrare che la riorganizzazione lo rende necessario.
Nell’ipotesi di assegnazione a mansioni inferiori, il dipendente ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento nonché al trattamento retributivo di cui gode al momento del mutamento (con la sola eccezione di elementi retributivi collegati alla specifica mansione svolta in precedenza). Il mutamento di mansioni e’ accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullita’ dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni.
La Giurisprudenza ha avuto modo di affermare che, nell’ambito di una riorganizzazione aziendale dovuta alla riconversione del processo produttivo, non è possibile procedere al demansionamento di un singolo lavoratore lasciando inalterate le posizioni dei colleghi che siano inquadrati nello stesso livello di quest’ultimo. Tale scelta aziendale risulterebbe discriminatoria e non idonea a giustificare la deroga al divieto, posto dal Codice civile, di adibire i lavoratori a mansioni inferiori.
- Modifiche all’orario di Lavoro:
La riduzione dell’orario di lavoro (ad esempio da full-time a part-time) è possibile solo con il consenso del lavoratore e il rifiuto del dipendente di una riduzione dell’orario generalmente non è causa di licenziamento.
Tuttavia, il datore di lavoro potrebbe procedere ad un licenziamento “economico” qualora risulti impossibile collocare il lavoratore diversamente. E’ invero oramai consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il rifiuto del dipendente di ridurre il proprio orario di lavoro può legittimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo qualora l’offerta sia stata formulata dal datore di lavoro a fronte di effettive esigenze economiche, che hanno portato alla riduzione del personale o comunque a ridisegnare l’organizzazione aziendale, e tali da non consentire di mantenere il lavoratore a tempo pieno (cfr. Cassazione con sentenza 9 maggio 2023, n. 12244 ).
3) Trasferimento
A norma dell’art 2103 c.c. il lavoratore puo’ essere trasferito da un’unita’ produttiva ad un’altra solo per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.
In caso di trasferimento, il rapporto di lavoro non si estingue e il lavoratore conserva tutti i diritti.
Il trasferimento deve essere motivato e qualora il dipendente lo ritenga illegittimo potrà impugnarlo entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione.
AUTOMAZIONE DEI PROCESSI
La riorganizzazione aziendale potrebbe comportare anche l’introduzione di tecnologie per semplificare e ottimizzare le attività d’impresa che, impattando sui processi produttivi e sulla contrazione dei costi, potrebbe legittimare i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, ovvero quel licenziamento che può essere intimato “per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.
In tal caso sarà fondamentale verificare la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per la quale non basta la mera soppressione del posto di lavoro, essendo invero necessaria la prova dell’esistenza a monte di una ragione tecnico organizzativa produttiva che deve essere legata alla soppressione del posto attraverso il nesso di causa (in tal senso, ex multis, Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34576 del 27 dicembre 2024).
Peraltro, il datore di lavoro non deve solamente provare la sussistenza delle ragioni di carattere oggettivo poste a base del recesso, ma deve provare altresì l’inutilizzabilità del lavoratore in altre mansioni analoghe a quelle precedentemente svolte (c.d. obbligo di repêchage), come affermato dalla recente ordinanza n. 1364 del 20.01.2025 della Corte di Cassazione.
RIDUZIONE DEL PERSONALE
La riorganizzazione aziendale può ricollegarsi anche alla riduzione per personale in conseguenza di una situazione di crisi aziendale o al fine di perseguire l’aumento della redditività dell’impresa.
In entrambi i casi si verificherebbe il c.d. licenziamento per “motivi economici”, ovvero il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo è invero sufficiente che le esigenze produttive e organizzative (incluse l’aumento della redditività e la maggiore efficienza) giustifichino una ristrutturazione aziendale che comporti la soppressione di specifici posti di lavoro; non risulta invece necessario che il datore di lavoro dimostri una situazione di crisi aziendale.
Secondo la Cassazione, invero, la riduzione del personale può essere giustificata anche da un effettivo e dimostrabile riassetto organizzativo, volto non solo a ridurre i costi ma anche a salvaguardare la continuità operativa dell’impresa. A tal fine, per il datore sarebbe sufficiente dimostrare che le mansioni del lavoratore licenziato sono cessate o sono state accorpate a quelle di un altro dipendente, senza che sia necessaria la prova di una condizione economica negativa. (cfr. tra le tante, Corte di Cassazione, sentenza n. 17173/22).
E’ dunque necessario sempre valutare la genuinità delle ragioni addotte dal datore di lavoro ai fini del licenziamento.
In caso di licenziamento per “per giustificato motivo oggettivo”, la riduzione del personale può avvenire in due modi:
- con un licenziamento individuale,
- con un licenziamento collettivo.
Nel caso di licenziamento individuale, l’interruzione del rapporto non è preceduta da una contestazione disciplinare e il datore deve dare solo il preavviso.
Il licenziamento, si ripete, sarà legittimo solo se sussistono effettivamente le ragioni produttive o organizzative che avrebbero reso necessario il recesso datoriale.
Inoltre, prima di far luogo alla cessazione del rapporto, il datore deve verificare se il lavoratore può essere adibito ad altre mansioni compatibili con le sue capacità, eventualmente anche di livello inferiore, che siano disponibili in quel momento (cosiddetto repêchage). Non vi è invece l’obbligo di creare nuove posizioni o di modificare l’organizzazione aziendale per conservare il posto al lavoratore.
Sarà poi necessario valutare la legittimità o meno dei licenziamenti caso per caso.
Ad esempio, pur in presenza di un calo di fatturati, il licenziamento potrebbe risultare illegittimo nel caso di assunzione di altri lavoratori avvenuta proprio durante l’anno che ha presentato il calo dei ricavi (in tal senso, Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza del 12 gennaio 2023 n. 752).
Ed ancora, in presenza di più dipendenti che svolgano la medesima mansione, il datore non potrà scegliere arbitrariamente il lavoratore da licenziare, ma dovrà seguire gli stessi criteri di priorità previsti per i licenziamenti collettivi: anzianità di servizio, carichi di famiglia ed esigenze organizzative e produttive.
Diversamente, il licenziamento potrebbe risultare illegittimo o finanche discriminatorio.
Il datore di lavoro dovrà invece procedere ad un licenziamento collettivo allorquando, in una azienda che occupi più di 15 dipendenti, deve licenziare almeno 5 lavoratori in unità produttive situate nel territorio della stessa provincia, oppure almeno 10 lavoratori in unità produttive situate in diverse province, nell’arco di 120 giorni, in conseguenza di una riduzione o di una trasformazione di lavoro, o se intende cessare l’attività.
In tal caso, l’imprenditore deve seguire una specifica procedura prevista dalla legge 223/1991, informando preventivamente le Rappresentanze sindacali aziendali e i Sindacati maggiormente rappresentativi, che prevede i seguenti passaggi:
- consultazione con i sindacati: il datore di lavoro comunica alle rappresentanze sindacali la volontà di procedere al licenziamento collettivo e le ragioni che lo legittimano;
- priorità: in occasione delle consultazioni con i sindacati vengono definite le categorie dei lavoratori che avranno priorità nella conservazione del posto. In difetto, vengono preferiti quelli con maggiore anzianità di servizio, o con carichi di famiglia superiori o, in ultimo, quelli determinati in base alle esigenze organizzative o produttive;
- ammortizzatori sociali: i lavoratori licenziati possono avere diritto alla cassa integrazione guadagni (Cig) o alla NASPI.
Il licenziamento collettivo per riduzione del personale più essere impugnato per iscritto entro 60 giorni per le seguenti ragioni: mancata comunicazione in forma scritta, per inosservanza delle procedure di consultazione sindacale, per violazione dei criteri di scelta o in caso di mancata comunicazione dei lavoratori licenziati.
SOPPRESSIONE O CESSIONE DI UN RAMO D’AZIENDA
SOPPRESSIONE DI UN RAMO D’AZIENDA
E’ possibile configurare un ramo d’azienda, inteso anche in senso “dematerializzato”, anche nel caso in cui venga in rilievo solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare “know how” e di essere destinati in modo specifico ad una determinata attività, al punto da esprimere una professionalità specifica e infungibile (Al riguardo, Cass. n. 5678/2013; Cass. n. 24972/2016; Cass. n. 7364/2021).
La soppressione di un ramo d’azienda si riferisce quindi alla cessazione di un’attività specifica, distinta ma organizzata, di una parte di un’azienda, senza che si proceda alla chiusura dell’intera azienda.
Le motivazioni possono includere la riduzione dei costi, il riorientamento strategico o la necessità di migliorare l’efficienza operativa.
Anche in tal caso i lavoratori possono affrontare licenziamenti, trasferimenti ad altre divisioni o cambiamenti nelle loro mansioni.
Come già evidenziato nel paragrafo che precede, la legge prevede normative specifiche sui licenziamenti collettivi, che includono l’obbligo di informare e consultare i rappresentanti dei lavoratori. Inoltre, i dipendenti hanno diritto alla indennità di licenziamento e, in alcuni casi, a programmi di ricollocazione nel mondo del lavoro.
Di recente, la Corte di cassazione (sezione lavoro, sentenza n. 1972/2024) è tornata ad esaminare la problematica relativa ai licenziamenti collettivi ed ai criteri di scelta dei lavoratori coinvolti, nell’ipotesi in cui sia soppressa una specifica sede dell’azienda.
I giudici di legittimità hanno ribadito che è ormai consolidato l’orientamento secondo cui “in tema di licenziamento collettivo per riduzione del personale, la regola generale di cui all’art. 5, comma 1, della L. n. 223 del 1991, secondo cui l’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire avuto riguardo al complesso aziendale, può essere derogata se la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale è limitata agli addetti a un determinato reparto o settore o sede territoriale. In tal caso il datore di lavoro deve indicare nella comunicazione prevista dall’art. 4, comma 3, della legge citata, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento a unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti. Qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, è, dunque, legittima la limitazione della platea dei lavoratori interessati agli addetti ad essi sulla base soltanto di oggettive esigenze aziendali, purché siano dotati di professionalità specifiche, infungibili rispetto alle atre (Cfr. Cass. n. 2390 del 27/01/2022, Rv. 663737-01; Cass. n. 17177 dell’11/07/2013; Cass. n. 203 del 12/01/2015; Cass. n. 19105 dell’1/08/2017; Cass. n. 32387 del 11/12/2019).”
Invece, ai fini dell’esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità appartenenti alle unità produttive non soppresse, la circostanza che per mantenere in servizio un lavoratore che appartiene alla sede soppressa occorrerebbe traferirlo in altra sede, con aggravio di costi e con tutte le conseguenze che ne derivano sull’assetto organizzativo, non assume alcun rilievo. D’altronde, la legge 223/1991 non prevede tra i criteri di scelta la sopravvenienza di costi aggiuntivi per il trasferimento del lavoratore o la dislocazione delle sedi.
CESSIONE DI UN RAMO D’AZIENDA
Tra le operazioni di riorganizzazione aziendale, soprattutto per le conseguenze che possono aversi sul piano della gestione dei rapporti di lavoro, la cessione del singolo ramo d’azienda è certamente quella più attenzionata: in questo caso solo una parte del complesso dei beni (e dei lavoratori) è destinata a cadere sotto la disciplina codicistica.
Si parla di cessione del ramo d’azienda (ovvero di quella porzione dell’azienda dotata di una propria autonomia funzionale e organizzativa), in grado di essere collocata nel mercato senza dover necessariamente dipendere dall’azienda cedente, quando si verifica la sostituzione della persona del titolare del rapporto di lavoro e il suo subentro nella gestione del complesso dei beni per l’esercizio dell’impresa, ovvero del ramo aziendale ceduto.
Nel caso di cessione di ramo d’azienda, la continuazione dei rapporti riguarda solo i dipendenti coinvolti e che rappresentano parte del ramo ceduto, presupponendo la liceità dell’operazione (volendo escludere l’ipotesi di una frammentazione simulata dell’azienda finalizzata a sottrarre la riduzione del personale alla disciplina di legge sui licenziamenti individuali o collettivi).
Si ritiene comunemente che la cessione di ramo d’azienda sussiste anche nel caso in cui il trasferimento abbia ad oggetto solo un gruppo di lavoratori con particolari know-how o competenze (anche senza il trasferimento di beni materiali come macchinari o attrezzature), purché le rispettive attività siano tra loro coordinate e organizzate al fine di produrre un bene o erogare un servizio.
In occasione di una procedura di cessione del ramo d’azienda i soggetti coinvolti, cedente e cessionario, avviano una vera e propria riorganizzazione della propria compagine societaria da cui potrebbe discendere la necessità di un nuovo assetto interno: nuovi reparti, nuova distribuzione di mansioni e carichi di lavoro, e molto più semplicemente potrebbero emergere degli esuberi di personale prima non evidenziati.
Dopo la cessione del ramo, qualora il personale rimasto alle dipendenze della cedente non risulti più utilizzabile, si potrà avviare un licenziamento individuale o una procedura di licenziamento collettivo, giustificando il licenziamento per la soppressione del posto di lavoro; il motivo del licenziamento non dovrebbe essere però la cessione bensì la riorganizzazione conseguente la cessione stessa.
Nel caso in cui, a seguito della cessione del ramo, la cessionaria abbia un esubero di personale addetto alle stesse attività, sarebbe possibile avviare una procedura di licenziamento.
Sussiste tuttavia il rischio che in alcuni casi l’operazione di cessione del ramo d’azienda venga utilizzata strumentalmente al fine di aggirare la disciplina sui licenziamenti individuali e collettivi. L’espulsione di lavoratori “non graditi” o semplicemente in eccesso potrebbe infatti essere tentata attraverso una fittizia operazione di taglio del singolo ramo d’azienda, operazione che risulterebbe illecita e che comporterebbe, stante la natura fraudolenta, la nullità dell’atto di recesso ed il diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro con transito alle dipendenze della società cessionaria oppure il rientro nell’organico della cedente.
E’ evidente, dunque, che si tratti di un’operazione estremamente delicata che andrà verificata caso per caso al fine di garantire il rispetto delle tutele previste in favore dei lavoratori.
FUSIONE E ACQUISIZIONE AZIENDALE
Al fine di creare nuove sinergie operative, per espandersi nel mercato di riferimento o per aumentare la competitività le aziende possono procedere a fusioni o ad acquisizioni.
Una fusione aziendale si verifica quando due o più aziende si uniscono per formare una nuova società.
Si verifica un’acquisizione quando un’azienda acquista un’altra attività.
In entrambi i casi la riorganizzazione aziendale è necessaria e le implicazioni per i lavoratori possono essere molteplici. I lavoratori possono affrontare cambiamenti nelle condizioni di lavoro, rischi di duplicazione delle posizioni e possibili licenziamenti. Durante una fusione, i dipendenti possono essere trasferiti a nuove sedi o divisioni. Inoltre, le fusioni possono portare a una revisione delle politiche aziendali, che può influire sui benefici e sulle condizioni di lavoro dei dipendenti.
Durante il processo di fusione i lavoratori hanno diritto a essere informati e consultati e le aziende devono garantire che i diritti dei lavoratori siano rispettati.
Inoltre, possono essere previste clausole di salvaguardia occupazionale nei contratti collettivi di lavoro per proteggere i dipendenti da licenziamenti ingiustificati.
Nel caso di licenziamento conseguente ad una acquisizione, invece, sarà necessario verificare il rispetto dei presupposti pervisti dalla legge.
CAMBIO DI MANAGEMENT O DI PROPRIETÀ
Il cambio di management si verifica quando la leadership aziendale viene sostituita o riorganizzata. Le motivazioni possono includere la necessità di implementare nuove strategie aziendali o di migliorare le performance.
Anche in tal caso possono verificarsi diverse implicazioni per i lavoratori. I lavoratori potrebbero affrontare nuove politiche e procedure aziendali, nonchè possibili modifiche nelle loro mansioni.
Il nuovo management potrebbe inoltre introdurre nuove aspettative e obiettivi, il che può richiedere ai dipendenti di adattarsi rapidamente.
I lavoratori hanno diritto a essere informati sui cambiamenti di management e a protezione contro modifiche unilaterali delle condizioni di lavoro. Inoltre, possono essere previsti meccanismi di risoluzione delle controversie per affrontare eventuali problemi. Le aziende devono garantire che i cambiamenti siano gestiti in modo trasparente e che i diritti dei lavoratori siano rispettati.
Qualora le modifiche non dovessero avvenire nel rispetto dei diritti dei lavoratori, questi ultimi non sono privi di tutele.
Invero, la modifica delle mansioni deve ovviamente avvenire nel rispetto di quanto previsto dall’art. 2103 c.c.; diversamente, il lavoratore potrà adire le vie legali.
Analogamente, eventuali modifiche del rapporto di lavoro o la fissazione di obiettivi di lavoro dovranno avvenire nel rispetto delle rispettive discipline di settore.
Il cambio di proprietà si verifica quando un’azienda viene acquisita o ceduta a un nuovo proprietario per una molteplicità di ragioni, quali investimenti strategici, acquisizioni o cessioni.
Anche nel caso di cambio di proprietà i lavoratori possono affrontare un’incertezza sul loro futuro occupazionale e possibili rinegoziazioni contrattuali, che devono avvenire nel rigoroso rispetto della normativa di legge.
La legge prevede normative sulla continuità dei rapporti di lavoro, che garantiscono che i dipendenti mantengano i loro diritti e benefici anche dopo il cambio di proprietà.
Ristrutturazione aziendale dipendenti
La legge italiana riconosce al datore di lavoro la possibilità di riorganizzare l’azienda, ponendo in essere cambiamenti di mansioni e, in casi specifici, il licenziamento.
La riorganizzazione e la ristrutturazione aziendale possono però avere impatti significativi sui lavoratori. Per questo motivo sono previste tutele per il lavoratore, soprattutto per evitare licenziamenti ingiustificati.
Il licenziamento, invero, è legittimo solo se motivato da esigenze oggettive legate alla crisi dell’impresa o alla necessità di eliminare posti di lavoro in esubero a seguito della riorganizzazione.
La riorganizzazione aziendale è dunque un diritto del datore di lavoro, risultando spesso necessaria per la sostenibilità dell’impresa, ma non è illimitato, dovendo necessariamente tener conto dei diritti e delle tutele dei lavoratori.
Al riguardo, rammentiamo le principali forme di tutela del lavoratore:
- Impugnazione del Licenziamento per Giustificato Motivo Oggettivo: se il licenziamento non è giustificato da una reale crisi aziendale o da una riorganizzazione, il dipendente può essere reintegrato nel suo posto di lavoro o ottenere un risarcimento del danno,
- Impugnazione del licenziamento collettivo,
- Cassa Integrazione o Mobilità,
- Outplacement: l’azienda può avvalersi dell’outplacement per sostenere i lavoratori in caso di licenziamento, fornendo formazione e orientamento professionale per aiutarli a trovare nuove opportunità di lavoro,
- Tutela della continuità aziendale,
- Formazione e riqualificazione: in caso di ristrutturazione, il datore di lavoro può offrire formazione e riqualificazione ai dipendenti per permettere loro di adattarsi alle nuove esigenze dell’azienda.