Il fenomeno della diffusione dei Social Network ha determinato un incremento esponenziale delle controversie giudiziali. Tale situazione non è nient’altro che la logica conseguenza dell’utilizzo distorto delle nuove piattaforme digitali, piattaforme che ad oggi rappresentano quel veicolo per realizzare condotte illecite anche all’interno del contesto lavorativo.
Ed invero, è proprio a seguito dell’utilizzo inadeguato dei Social Network che l’Azienda viene a conoscenza di assenze ingiustificate dal posto lavoro, diffamazioni tra dipendenti o verso il datore di lavoro.
Nonostante tali circostanze producano quale rischio l’apertura di un procedimento disciplinare nei confronti del colpevole, ad oggi purtroppo la possibile perdita del posto di lavoro non disincentiva l’uso irregolare che ne viene fatto.
La problematica ha inevitabilmente attinto/travolto anche i Giudici di Merito, sempre più in difficoltà nello stabilire quella sottile linea di confine tra, da un lato, il diritto alla libera espressione del pensiero, la tutela della privacy e della riservatezza dei lavoratori anche nella propria vita extra-lavorativa, e dall’altro la tutela dell’immagine e del patrimonio aziendale.
Tale operazione di bilanciamento non sempre ha condotto a risultati condivisi.
Pertanto, al fine di comprendere al meglio la portata e le caratteristiche del fenomeno e soprattutto al fine di incentivare gli utenti ad un uso maggiormente consapevole degli strumenti informatici, citiamo alcuni precedenti giurisprudenziali.
Un caso degno di menzione è quello deciso dal Tribunale di Ivrea. Nel 2015 il Tribunale ha confermato la legittimità del licenziamento promosso nei confronti di un dipendente, il quale all’indomani della conoscenza del provvedimento espulsivo, aveva pubblicamente postato su Facebook frasi gratuitamente diffamatorie contro l’azienda ed offensive contro le colleghe.
Altro interessante caso riguarda una recente pronuncia della Corte di Cassazione, con la quale è stato giudicato illegittimo il licenziamento del dipendente che lasciava, per mezzo dell’auto aziendale, il posto di lavoro per effettuare compere presso un mercato all’aperto.
In particolare, il fatto pur costituendo un illecito disciplinare, rientra, secondo i Giudici di Legittimità,
all’interno di quella fattispecie punita dal CCNL con una sanzione conservativa e non espulsiva.