Controlli difensivi: novità giurisprudenziali

Introduzione

Il tema dei “controlli difensivi” è un argomento di grande attualità e rilevanza.

In quanto tale, è sovente oggetto di plurimi interventi giurisprudenziali volti a calibrare nel miglior modo possibile il difficile bilanciamento tra la tutela dei diritti dei lavoratori e la sicurezza aziendale, sempre nel rispetto della privacy del dipendente.

Cosa si intende per controlli difensivi

Quando parliamo di controlli difensivi, ci riferiamo a quelle misure adottate dal datore di lavoro per tutelare “beni estranei al rapporto lavorativo o per evitare comportamenti illeciti da parte dei dipendenti”. In sostanza, i controlli difensivi mirano a proteggere gli interessi aziendali e, per tale ragione, sono spesso attuati in seguito a fatti che costituiscono un illecito.

Esempi di controlli difensivi

Al fine di tutelare la sicurezza aziendale, il datore di lavoro può ricorrere alle investigazioni private. Ad esempio, egli può incaricare un’agenzia investigativa per verificare se un dipendente in malattia sta svolgendo un’altra attività lavorativa o sta approfittando del periodo di riposo per andare in vacanza.

Non solo.

Potrebbe, altresì, ricorrere a pedinamenti qualora sospetti che il lavoratore abbia rubato beni aziendali. Tuttavia, tale controllo difensivo potrà essere esercitato limitatamente al turno di lavoro.

In aggiunta, la legge prevede espressamente la possibilità che il datore di lavoro possa dotarsi di impianti di videosorveglianza ed altri dispositivi tecnici posizionati all’interno dell’azienda per il controllo a distanza dei propri dipendenti.

A tal riguardo, va però precisato che l’istallazione di tali impianti presuppone la sussistenza della condizione secondo la quale l’azienda abbia preventivamente stipulato un accordo collettivo con il sindacato; in mancanza di tale accordo, sarà necessaria l’autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale dei lavoratori.

Origine

Come anticipato nell’introduzione, i controlli difensivi costituiscono una fattispecie di matrice giurisprudenziale elaborata nel periodo di vigenza del vecchio art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.

Tale articolo era incentrato ad una tutela esclusiva dell’attività svolta dal lavoratore e pertanto vietava all’azienda l’uso di dispositivi che avessero quale unico scopo quello di esercitare un controllo sui propri dipendenti.

A seguito dei ripetuti interventi della Corte, il novellato art. 4 oggi apre le porte anche alla tutela del patrimonio e dell’immagine aziendale; pertanto, è consentito al datore di lavoro introdurre una serie di controlli al fine di tutelarsi da illeciti o attività lesive perpetrate in danno dell’azienda.

Novità giurisprudenziali

Con riferimento alla tematica dei controlli difensivi, merita un approfondimento la recente sentenza emessa dal Tribunale di Roma, con la quale è stato dichiarato “nullo il licenziamento per giusta causa irrogato da una compagnia aerea a un dirigente, avendo la società utilizzato informazioni ottenute attraverso un «illecito accesso alla corrispondenza» del manager e, quindi, in violazione dell’articolo 4 dello statuto dei lavoratori e della normativa europea e nazionale sulla privacy”.

I fatti traggono origine dal ricorso di un dirigente avverso la decisione di licenziamento per giusta causa intimato all’esito del procedimento disciplinare.

Più in particolare, la vicenda trae origine  da una lettera inviata al dipendente con la quale l’azienda comunicava allo stesso la sospensione dall’attività lavorativa, in via del tutto cautelare, “al fine di verificare alcune informazioni recentemente acquisite…e potenzialmente impattanti sul vincolo fiduciario”.

Ebbene, in concomitanza della sospensione e senza autorizzazione alcuna, al dirigente veniva, altresì, disattivato l’indirizzo di posta elettronica aziendale.

Solo successivamente a tali eventi, la società instaurava nei confronti del lavoratore un procedimento disciplinare avente ad oggetto la contestazione delle condotte poste in essere dal manager volte a «denigrare i ruoli di governance aziendale e quindi preordinate a perseguire finalità non coincidenti con quelle della società e ciò a prescindere dalla circostanza che le medesime siano state divulgate o meno» e di aver taciuto al Cda pregressi rapporti con consulenti esterni, essendosi fatto da questi «inviare un documento già ricevuto sottoscritto a dicembre chiedendo vi venisse apposta la data di gennaio 2022».

La conclusione del procedimento conduceva al licenziamento per giusta causa del dirigente.

Avverso tale decisione, il dirigente proponeva ricorso innanzi al Tribunale di Roma.

All’esito del giudizio, il giudice dichiarava nullo, ancorché ritorsivo, il licenziamento in quanto fondato su un motivo illecito ex art. 1345 del Codice civile.

Secondo il Tribunale, i controlli difensivi sono ammessi e quindi utilizzabili, solo qualora abbiano ad oggetto la commissione di un illecito da parte del dipendente e purché tali dati siano acquisiti ex post rispetto all’insorgere del sospetto.

Nel caso di specie, il datore di lavoro ha posto in essere controlli “esplorativi”, e quindi ex ante rispetto alle segnalazioni ricevute.

Pertanto, le prova raccolte dall’azienda e poste a fondamento della legittimità del licenziamento, sono state ritenute dal giudice “inutilizzabili ai fini disciplinari”, in quanto “ottenute per effetto di un illecito accesso alla corrispondenza del dirigente, eseguito senza autorizzazione e in contrasto con la normativa europea e italiana sulla privacy”.

Per tali ragioni, a seguito dell’accoglimento del ricorso, il manager è stato reintegrato nel posto di lavoro.

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