La mancata fiducia, può giustificare un licenziamento? Ecco cosa dice la cassazione (Ord. n. 23318/2024, del 29.08.2024)

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ord. n. 23318/2024, del 29.08.2024

Non può essere ritenuta priva di rilievo disciplinare la condotta di un Direttore di Filiale di Banca che, all’insaputa di un’anziana correntista, ha attivato carte di pagamento, per fini esclusivamente commerciali, ed ha effettuato operazioni di prelievo contante.

La Corte d’Appello di Catanzaro – in riforma della pronuncia resa dal Giudice di primo grado, che aveva confermato l’ordinanza emessa a definizione della fase sommaria del c.d. rito Fornero – ha annullato il licenziamento di un direttore di filiale di una banca, ordinando la sua reintegrazione e il risarcimento del danno subito da dipendente, quantificato in dodici mensilità della retribuzione globale di fatto percepita all’epoca del licenziamento.

La Corte territoriale ha ritenuto che la Banca non avesse fornito prove sufficienti per giustificare il licenziamento, intimato in conseguenza dall’avvenuta assegnazione di carte di credito e prepagate da parte del Direttore ad una anziana cliente senza il consenso della stessa.

La cliente aveva dichiarato di non aver mai richiesto tali carte, di non essere a conoscenza delle operazioni effettuate con esse, né di aver avuto consapevolezza della documentazione contrattuale che le era stata sottoposta della firma.

Nel corso del giudizio era emerso che le operazioni effettuate con le carte emesse erano state inserite ed annullate a distanza di beve tempo (con conseguente impossibilità per la Banca di essere esposta a richieste di riaccredito da parte della cliente) e che la correntista avesse riconosciuto le sottoscrizioni apposte in calce alla documentazione contrattuale, con la conseguenza he la condotta del dipendete doveva ritenersi priva di offensività e, quindi, di rilevanza disciplinare.

Alla luce delle risultanze processuali, la Corte d’Appello ha concluso che il licenziamento era ingiustificato e ha riconosciuto al dipendente la tutela prevista dall’articolo 18 della legge n. 300 del 1970.

La Banca ha presentato ricorso in Cassazione, ed il dipendente ha resistito con controricorso.

Il ricorso della Banca, in buona sostanza, era fondato sull’affermato mancato apprezzamento da parte della Giudice di secondo grado della idoneità delle condotte poste in essere dal dipendente a ledere il vincolo fiduciario che deve ispirare ogni rapporto di lavoro.

La ricorrente, infatti, nello specifico ha affermato che la Corte territoriale non avesse tenuto in debito conto la circostanza secondo cui era emersa l’assenza di una reale volontà della correntista di richiedere l’emissione delle carte di pagamento, nonché quella secondo cui il dipendente avesse violato le disposizioni aziendali che gli imponevano di rendere al cliente una puntuale informativa preliminarmente all’emissione delle carte.

La ricorrente ha, poi, censurato la sentenza dei Giudici d’Appello per non aver correttamente apprezzato il rilievo disciplinare della condotta del lavoratore che aveva dato corso all’emissione delle carte di pagamento, a sostanziale insaputa della cliente, al mero fine di raggiungere obbiettivi di budget; in tal modo la pronuncia gravata avrebbe, secondo la prospettazione di parte ricorrente, violato il principio secondo cui ai fini della configurabilità della giusta causa di licenziamento non è indispensabile che ricorre un danno patrimoniale.

La Suprema Corte ha ritenuto fondati i motivi di ricorso articolati dalla Banca, criticando la pronuncia resa dalla Corte d’Appello per non aver considerato adeguatamente l’intervenuta lesione del vincolo fiduciario tra datore di lavoro e dipendente, indipendentemente dall’ammontare del danno economico.

La Corte ha sottolineato come, infatti, la giusta causa di licenziamento si basi sulla lesione della fiducia, che deve includere anche una valutazione prognostica della futura condotta del lavoratore.

In merito alla tutela applicabile, la Corte ha ricordato che l’insussistenza del fatto contestato possa includere anche casi in cui il fatto non abbia rilevanza giuridica o disciplinare. Tuttavia, nel caso specifico, una condotta illecita si era verificata e, conseguentemente, non può affermarsi l’insussistenza del fatto.

Di conseguenza, la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dalla Banca, cassando la sentenza e rinviando alla Corte d’Appello di Reggio Calabria per una nuova decisione conforme ai principi di diritto sanciti.

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