Caro bollette: rischio di chiusura per le imprese e di licenziamento per i lavoratori

A causa del continuo aumento dei costi energetici che sta interessando da mesi il nostro paese, il caro-bollette luce e gas rappresenta un problema sempre più grande per tutte le imprese italiane.

Secondo un’analisi di Confartigianato, per le attività produttive che operano in ben 43 settori, tra le attività più colpite dal caro bollette troviamo quelle energy intensive quali alimentare, bevande, farmaceutica, ceramica, vetro, cemento, carta, metallurgia, chimica, raffinazione del petrolio, gomma e materie plastiche e prodotti in metallo nonché il comparto turismo e ristorazione e 16 comparti manifatturieri, tra i quali il tessile e la lavorazione del legno oltre ai settori del trasporto.

Misure attuate dalle imprese per far fronte al caro-bollette

Le imprese italiane, che hanno già dovuto far fronte negli ultimi due anni all’emergenza pandemica, in attesa di rapidi e significativi interventi da parte del Governo, per far fronte al caro bollette che sta divenendo ormai insostenibile, stanno già facendo ricorso agli ammortizzatori sociali o alla cassa integrazione ed alla redistribuzione dei turni dei lavoratori al pomeriggio e alla notte per risparmiare sull’energia.

Tali soluzioni, però, non sono percorribili per tutte le imprese o, comunque, sufficienti a risolvere la crisi e appare ormai imminente il rischio che le micro e le piccole imprese, i cui dipendenti si stima rappresentino circa 1/5 degli occupati del sistema imprenditoriale italiano, e soprattutto quelle che operano nei settori del commercio oltre che dei pubblici esercizi, senza comunque escludere rischi sul piano occupazionale anche per le medie imprese, al fine di rientrare nei costi dovuti al caro-bollette ed evitare di produrre in perdita procedano alla riduzione del personale licenziando alcuni dipendenti o persino chiudano la propria attività.

Licenziamento dei dipendenti per bollette troppo care: è legittimo?

Il caro bollette, quindi, rappresenta un problema imminente sia per le imprese con meno di 15 dipendenti sia per i lavoratori, che temono di subire il licenziamento.

Sia il licenziamento per riduzione del personale conseguente alla crisi economica dell’impresa sia il licenziamento conseguente alla cessazione della attività rientrano nella fattispecie del c.d. licenziamento per “ragioni economiche”, che rappresenta alcune delle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Ai sensi dell’art. 3 della legge 604/1966, il licenziamento può difatti essere intimato “per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

La legge, dunque, prevede espressamente che un’azienda in crisi possa far luogo al licenziamento di uno o più dipendenti.

Pertanto, a fronte del concreto ed attuale rischio che le imprese riducano il personale o chiudano per il caro-bolletta licenziando tutti i lavoratori, non resta che interrogarsi su quanto gravi debbano essere le ragioni economiche che giustificano il recesso dal contratto di lavoro nei confronti di uno o più dipendenti e se il licenziamento per il caro-bollette sarebbe legittimo.

Il tema del licenziamento per il caro-energia conseguito all’aumento dei costi di gas ed energia elettrica a seguito del conflitto in Ucraina è così recente da non rinvenirsi ancora pronuncia sul punto.

Tuttavia, in generale la problematica del licenziamento giustificato dalla bolletta troppo cara è stata affrontata da poco dalla Suprema Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 11425 del 2021, ha affermato che non è sufficiente una sola bolletta elevata, anche se particolarmente alta, per giustificare il licenziamento per ragioni economiche.

Seppur al Giudice eventualmente adito non è riconosciuta la facoltà di sindacare nel merito la decisione aziendale statuendo se fosse o meno legittimo licenziare il dipendente per ragioni economiche, secondo gli Ermellini il datore di lavoro deve però provare documentalmente, con l’ausilio delle scritture contabili, che sussiste concretamente una crisi aziendale.
E secondo la ricostruzione fornita dalla Suprema Corte la crisi sussiste allorquando la situazione di difficoltà economica non è recente e temporanea ma si protrae ormai da tempo.

Dunque, non si può che concludere che una sola bolletta alta potrebbe non essere sufficiente a giustificare il licenziamento di un dipendente o un licenziamento collettivo.

Tuttavia, assistiamo da oltre due anni alla crisi economica conseguita alla pandemia da Sars-Covid 19 e ormai da qualche mese all’aggravamento della crisi per effetto del caro-bollette , pertanto, i licenziamenti dei lavoratori, che si auspica vengano impediti dall’intervento del Governo o dalla soluzione della crisi, potrebbero essere legittimi e non impugnabili vittoriosamente.

Licenziamento per caro-bollette: quali misure economiche per il dipendente

In tal caso, il lavoratore, assunto con contratto a tempo indeterminato, licenziato per il caro-bollette a seguito della riduzione del personale o della chiusura della attività di impresa avrà diritto a ricevere per iscritto l’indicazione del termine di preavviso, ovvero l’arco temporale entro il quale dovrà ancora prestare la propria opera prima della cessazione del rapporto, che varia in base alla durata del rapporto e che nella maggior parte dei casi è individuato nel contratto collettivo nazionale applicabile.

Durante il periodo di preavviso il dipendente ha dunque il diritto di percepire comunque la retribuzione, salvo che l’impresa decida di recedere con effetto immediato senza concedere alcun periodo di preavviso. In tal caso, il datore di lavoro dovrà corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso, pari alla retribuzione che il lavoratore avrebbe percepito qualora il preavviso fosse stato concesso.

Potranno richiedere all’Inps l’erogazione dell’indennità di disoccupazione, la cd. Naspi, tutti i lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che sono stati licenziati. Rientrano tra gli aventi diritto:

  • i lavoratori subordinati;
  • l’apprendista;
  • i soci lavoratori di cooperative con rapporto di lavoro subordinato con le medesime cooperative;
  • il personale artistico con rapporto di lavoro subordinato.

Per accedere a tale beneficio i lavoratori devono soddisfare il requisito di almeno 13 settimane di contributi previdenziali nei 4 anni che precedono la cessazione del rapporto di lavoro.
Come indicato nel sito dell’INPS:
“La NASPI è corrisposta mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione risultanti negli ultimi quattro anni dall’estratto conto previdenziale, fino ad un massimo di 24 mesi.”

Licenziamento del dirigente per bollette troppo care

Un discorso diverso, invece, può farsi con riferimento al licenziamento del dirigente.

Nel caso di licenziamento individuale del dirigente per giustificato motivo, difatti, l’unico parametro di riferimento è quello della giustificatezza del recesso, che include qualsiasi motivo di recesso che non sia contrario a buona fede, discriminatorio, arbitrario o pretestuoso.

Dunque, dal momento che la legittimità del licenziamento del dirigente va valutata in base al parametro della correttezza e della buona fede, da coordinarsi con la libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 della Costituzione, il licenziamento del dirigente può intervenire legittimamente per esigenze di riorganizzazione aziendale anche nel caso in cui la prosecuzione del rapporto non sia divenuta impossibile o, comunque, non sussista una situazione di crisi così grave da rendere oltremodo onerosa la continuazione del rapporto, come confermato anche recentemente dalla Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 34976/20212.

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